APPUNTI IN TEMA DI VERSAMENTO SOCIE E CONFERIMENTO A PATRIMONIO NELLE S.R.L.

Versamenti dei soci senza diritto di rimborso

I versamenti senza alcun diritto di rimborso effettuati dai soci a favore della società, denominati nella prassi “versamenti in conto capitale”, sono definitivamente acquisiti a patrimonio sociale fin dal momento della loro esecuzione e integrano una riserva disponibile.

Da tale momento cessa ogni rapporto/collegamento tra il socio versante e la somma versata. Le riserve costituite con detti versamenti possono essere liberamente utilizzate sia per ripianare le perdite che per aumentare gratuitamente il capitale sociale, mentre in nessun caso possono essere utilizzate per deliberare aumenti di capitale a pagamento.

Secondo il principio di legge, l’aumento gratuito di capitale mediante l’utilizzo delle riserve costituite con i “versamenti in conto capitale” dovrà essere attribuito a tutti i soci in proporzione alle partecipazioni da ciascuno detenute, prescindendo dalla circostanza che i versamenti utilizzati siano stati effettuati solo da alcuni soci, ovvero siano stati effettuati dai soci in misura non proporzionale rispetto alle loro partecipazioni.

I versamenti senza diritto di rimborso presuppongono necessariamente, per il loro perfezionamento, un accordo avente natura contrattuale tra i soci versanti e la società. Tale contratto può essere perfezionato anche verbalmente o per fatti concludenti. Non è richiesta per il perfezionamento dell’accordo una delibera assembleare che proponga ai soci di effettuare i “versamenti in conto capitale”, ovvero accetti quelli già prestati, essendo tale materia di competenza dell’organo amministrativo.

“Versamenti soci in conto futuri aumenti di capitale”

I versamenti effettuati dai soci a favore della società vincolati alla sottoscrizione di aumenti di capitale da parte dei soli soci conferenti, denominati nella prassi “versamenti in conto futuri aumenti di capitale”, non sono definitivamente acquisiti a patrimonio sociale, in quanto la società ha l’obbligo di restituirli nel caso in cui l’aumento di capitale cui sono subordinati non sia deliberato entro il termine convenuto (o stabilito dal giudice ex art. 1331, c. 2, c.c.). Detti versamenti, a causa del vincolo di destinazione cui sono soggetti, non possono essere utilizzati per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale sociale, né possono essere appostati a patrimonio netto.

Gli stessi possono essere utilizzati esclusivamente per la liberazione della parte di aumento di capitale a pagamento, riservata ai soci che li hanno eseguiti, cui sono subordinati.

I “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” non presuppongono necessariamente un accordo contrattuale, potendo gli stessi avvenire anche mediante atto unilaterale (proposta irrevocabile di sottoscrizione). Nel caso di accordo contrattuale non è richiesta una delibera assembleare che proponga ai soci di effettuare tali versamenti, ovvero accetti quelli già prestati, essendo la materia di competenza dell’ organo amministrativo.

In linea di principio, i “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” possono essere effettuati anche da non soci, nel presupposto che essi entreranno a far parte della compagine sociale.

Dobbiamo quindi rilevare come nel primo caso i “versamenti in conto capitale” facciano parte da subito del patrimonio dell’impresa e siano utilizzabili come meglio crede la società, mentre nel secondo caso i “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” siano inderogabilmente condizionati a un futuro aumento del capitale sociale e, nell’eventualità di mancata verifica di un tale evento, restituibili ai soci.

La dottrina ha cercato di individuare le peculiarità intrinseche di tali apporti, a seconda di quale sia la finalità e di come siano qualificati in bilancio, ma si è omogeneizzata nel ritenere tali somme sottoposte al medesimo regime giuridico del capitale sociale.

In base a tale orientamento, tanto i “versamenti in conto capitale” quanto quelli “in conto futuri aumenti di capitale sociale” sarebbero condizionati al regime vincolistico del capitale, con la differenza che i primi sono apporti patrimoniali di proprietà sociale che non vincolano la società a formalizzare lo stato di fatto mediante un vero e proprio aumento del capitale sociale, mentre i secondi costituirebbero una forma di preliminare impegno dei soci ad aumentare il capitale sociale.

I “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” costituiscono quindi apporti di patrimonio sottoposti alla condizione risolutiva, la quale potrà avverarsi o non avverarsi. Essi confluiscono provvisoriamente in una riserva, che la società dovrà utilizzare al momento della delibera di aumento di capitale.

Tali versamenti saranno invece restituiti ai soci, in base al principio della ripetizione dell’indebito (e non, invece, in base alle norme sul mutuo), quando risulti con certezza il mancato avveramento della condizione risolutiva.

Il rimborso è quindi escluso quando il versamento è genericamente eseguito “in conto capitale”; è invece ammissibile nel caso di “versamento in conto futuri aumenti di capitale”, ma solo quando la condizione risolutiva non si sia avverata. Per i “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” non è richiesta l’immediata destinazione a incremento del capitale.

Secondo la Relazione Ministeriale al DPR n. 917/86, la disciplina dei versamenti dei soci è stata chiarita in senso conforme al criterio distintivo già individuato nella Interpretazione Ministeriale che attiene all’esistenza o meno dell’obbligo di restituzione a carico della società, con la precisazione che per l’esistenza o meno di tale obbligo sono probatorie le risultanze del bilancio e delle altre scritture sociali.

Diritti del socio cedente la partecipazione in relazione agli eventuali “versamenti in conto capitale” o “in conto futuri aumenti di capitale” da lui effettuati
I “versamenti in conto capitale” sono caratterizzati dalla definitiva acquisizione nel patrimonio della società fin dal momento della loro esecuzione, con esclusione di qualsiasi diritto di rimborso.

Pertanto, in caso di cessione delle partecipazioni di società che hanno beneficiato di detti versamenti, non è possibile convenire che unitamente alle medesime partecipazioni vengano trasferiti anche ulteriori diritti relativi ai “versamenti in conto capitale” diversi rispetto a quelli derivanti dalla loro specifica appartenenza al patrimonio della società ceduta.

Al contrario, i “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” attribuiscono al socio che li ha effettuati il diritto alla attribuzione di quote di capitale (nel caso che l’aumento a pagamento cui sono subordinati sia deliberato nei termini), ovvero al rimborso.

Perciò, se il socio che ha effettuato detti versamenti cede la sua partecipazione, potrà trasferire con essa anche i diritti da essi derivanti ovvero potrà trattenerli per sé.

Distinzione tra “finanziamenti” e “versamenti in conto capitale”
L’uso del termine “finanziamento” o “versamento” conduce a comprendere se sussiste o meno in capo alla società un obbligo di restituzione delle somme ricevute.

Per “finanziamento” deve intendersi la concessione di somme con obbligo di restituzione (con o senza la corresponsione di interessi). Queste somme devono essere rilevate in bilancio nel passivo dello stato patrimoniale tra i debiti.

Per “versamento in conto capitale”, invece, deve intendersi l’acquisizione di somme a titolo definitivo senza l’iscrizione nel passivo di bilancio di tali valori a titolo di finanziamento (con o senza interessi). Queste somme andranno rilevate nel patrimonio netto alla voce “Altre riserve del Patrimonio netto”.

Occorre infine evidenziare che i giudici della Cassazione, con la Sent. n. 2314/1996, hanno precisato che, ai fini della qualificazione giuridico-economica degli apporti spontanei dei soci aventi natura diversa dal mutuo (ad esempio: “soci in conto capitale”, “soci in conto futuri aumenti di capitale”, “conto versamento soci”, “conto finanziamento soci infruttifero”), non è determinante la denominazione loro assegnata, ma occorre avere riguardo alla reale volontà delle parti.

“Versamenti in conto capitale” (ai fini imposte dirette)

Secondo l’art. 47, c. 1, TUIR (Utili di partecipazione), indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono distribuiti l’ utile dell’ esercizio e le riserve diverse da quelle del comma 5 per la quota di esse non accantonata in sospensione di imposta. Tuttavia, il comma 5 dispone che non costituiscono utili le somme ricevute dai soci a titoli di ri- partizione di riserve o altri fondi costituiti con versamenti fatti dai soci “in conto capitale” (1).

Il comma 7 dispone che le somme ricevute dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione costituiscano utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.

A seguito della distribuzione di queste riserve o fondi si ha una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute (nel nostro caso del debito della società per i “versamenti dei soci in conto futuri aumenti di capitale”).

Soltanto nell’ ipotesi in cui l’ ammontare delle riserve o fondi di capitale distribuiti dovesse eccedere il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione, questa eccedenza assumerebbe rilevanza reddituale in quanto assimilabile alla distribuzione di dividendi.

Secondo l’art. 88, c. 4, TUIR (Sopravvenienze attive), non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro fatti “in conto capitale” (quindi senza obbligo di rimborso da parte della società) alle società dai propri soci. Si tratta, cioè, di un’operazione fiscalmente neutra.

I versamenti che i soci decidono di effettuare al fine di finanziare le società partecipate, senza procedere a formali aumenti del capitale sociale, possono quindi assumere la natura di:

– veri e propri conferimenti a titolo di “dotazioni patrimoniali”; ovvero

– finanziamenti a titolo di “capitale di credito”.

Va rilevato che è comunque possibile che i versamenti in questione vengano effettuati non proporzionalmente alle quote di partecipazione dei singoli soci o solamente da alcuni di essi; in tal caso occorre tener presente che tali importi, venendo a far parte del patrimonio netto della società, in sede di rimborso ai soci (o in caso di liquidazione) devono comunque essere ripartiti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione degli stessi al capitale sociale, indipendentemente dalle modalità e dalle proporzioni con cui sia avvenuto il versamento.

Secondo la prevalente e autorevole dottrina, di cui condividiamo il pensiero, alle somme erogate dai soci a titolo di “versamento in conto futuri aumenti di capitale” e “in conto aumento di capitale” può essere attribuita la natura di riserve facoltative disponibili, con la conseguenza che il rimborso possa avvenire nelle forme tecniche della distribuzione di tali riserve, vale a dire con delibera dell’assemblea ordinaria dei soci.

I versamenti effettuati dai soci “in conto futuri aumenti di capitale”, pur non determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale, hanno una causa che di norma è diversa da quella del mutuo (a meno che non esista una specifica pattuizione in contrario tale da snaturare il tipo di elargizione e da ricondurla allo schema di un comune finanziamento) ed è invece simile a quella del conferimento in capitale, che è un conferimento di rischio (Cass., Sez. civ., sentenza del 3 dicembre 1980, n. 6315).

Profili fiscali dei conferimenti effettuati dai soci a titolo di “dotazioni patrimoniali”
Dal punto di vista della società partecipata (che riceve i versamenti) occorre innanzi tutto rilevare che ai sensi dell’art. 88, c. 4, del TUIR: «non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale […]» indipendentemente dall’esistenza di una preventiva delibera in merito e dalla circostanza che i versamenti dei soci avvengano in misura proporzionale alle partecipazioni possedute.

Per ciò che concerne i riflessi fiscali nei confronti dei soci di una eventuale restituzione degli apporti in questione (per il valore capitale), va precisato che – in linea di principio – detta operazione non genera in capo a tali soggetti alcun reddito imponibile.

L’art. 47, c. 5, del TUIR stabilisce infatti espressamente che «non costituiscono utili le somme e i beni ricevuti dai soci delle società soggette all’imposta sul reddito delle società a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzo di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta; tuttavia le somme o il valore normale dei beni ricevuti riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute».

Così come l’effettuazione di un conferimento di capitale da parte del socio in favore della società aumenta il costo fiscale della partecipazione, la restituzione di tale conferimento (per il valore capitale) deve diminuire tale costo, con “irrilevanza reddituale” per il socio.

Trattandosi di persone fisiche ed enti non commerciali che operano al di fuori del reddito d’impresa, nell’ambito della cosiddetta tassazione sul capital gain, non è prevista l’assoggettabilità a imposizione diretta di questo valore negativo che si è creato.

Mancano infatti, per poter dar luogo a materia imponibile, i presupposti impositivi previsti dal DPR n. 917/1986 e, in particolare, l’esistenza di una cessione a titolo oneroso di quote di partecipazione o di altre fattispecie che fanno scaturire plusvalenze tassabili quali la cessione del diritto di opzione.

Presunzione di prioritaria distribuzione degli utili con limiti
Secondo quanto previsto dall’art. 47, c. 1 del TUIR, indipendentemente dal contenuto della delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti ai soci l’utile di esercizio e le riserve di utili. La finalità della disposizione è quella di evitare che, attraverso la distribuzione delle riserve di capitale, il socio possa differire – anche indefinitamente – la tassazione personale dei dividendi.

Conseguentemente, anche se nel patrimonio sono presenti riserve di capitale delle quali la delibera prevede l’attribuzione ai soci, la presenza di riserve di utili disponibili comporta automaticamente la riqualificazione in utili della distribuzione ai soci; trova quindi applicazione il regime fiscale dei dividendi proprio del soggetto percipiente, in luogo degli effetti ordinariamente previsti nel caso di ripartizione di riserve di capitale (riduzione del costo fiscale delle partecipazioni detenute dal socio).

Sul tema, la circolare dell’ Agenzia delle Entrate, del 16 giugno 2004, n. 26 (§ 3.1) ha precisato che la presunzione si rende applicabile «sempreché le riserve di utili presenti siano liberamente disponibili». Pertanto, la presunzione non opera se accanto a riserve di capitale vi siano solo riserve di utili indisponibili quali, ad esempio, quelli accantonati a riserva legale o a riserva acquisto azioni proprie.

In sostanza, non tutte le riserve di utili iscritte in bilancio sono interessate dalla presunzione. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 26, del 16 giugno 2004, ha chiarito che la presunzione in commento opera laddove esistano “riserve di utili disponibili”. Intendendo tale espressione nel senso di “disponibili per la distribuzione”, si dovrebbero considerare escluse dalla presunzione:

– la riserva legale;

– la riserva da valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto;

–  la riserva di utili netti su cambi;

–  la riserva da deroghe in casi eccezionali;

–  la riserva delle società cooperative (art. 2545-ter c.c.);

–  le riserve indisponibili derivanti dall’applicazione dei principi contabili internazionali.

Non obbliga ad applicare la presunzione neanche la riserva costituita prima della trasformazione progressiva con utili

imputati ai soci per trasparenza, poiché pur essendo disponibile per la distribuzione fa venir meno la finalità della presunzione di cui all’art. 47, c. 1 del TUIR, in quanto la sua eventuale ripartizione ai soci non subirebbe comunque alcuna imposizione.

Distribuzione del capitale e degli apporti in conto capitale
Dal punto di vista normativo potrebbe essere più complesso il caso della distribuzione del capitale sociale o di “versamenti in conto capitale”.

Secondo un primo approccio, non solo motivi di ordine letterale ma anche una riflessione sugli obiettivi del legislatore escluderebbero la restituzione del capitale sociale o di “versamenti in conto capitale” dalla presunzione in parola. Dal punto di vista del dettato letterale, si osserva peraltro che il capitale sociale non è annoverato tra le riserve di cui al c. 5 dell’art. 47 del TUIR. Si potrebbe pensare, infatti, che la volontà del legislatore sia quella di colpire i soci che, trovandosi nella possibilità di scegliere, preferiscano posticipare il pagamento di imposte procedendo alla distribuzione di riserve “neutre”.

La riduzione del capitale sociale, al contrario, non costituisce un’operazione che si pone quale alternativa alla distribuzione di utili, ma normalmente è collegata a volontà ed eventi diversi; prova ne è che le formalità richieste dal codice civile per tale tipo di operazione sono ben diverse da quelle che normalmente vengono poste in essere per procedere alla semplice distribuzione ai soci di riserve di capitale.

Per quanto riguarda il capitale sociale, del resto, esiste (anche antecedentemente alla riforma del 2003) una specifica presunzione di distribuzione prioritaria, contenuta nel secondo periodo dell’art. 47 c. 6 del TUIR, che però si applica ai soli casi in cui il capitale sia stato in precedenza aumentato a titolo gratuito con imputazione di riserve di utili.

Ad ogni modo, non si può non rilevare come una risposta negativa all’applicazione della presunzione legale in caso di restituzione effettiva del capitale sarebbe asistematica, in quanto nella fattispecie si verificherebbe comunque una restituzione di apporti di capitale e quindi, nella sostanza, la ratio della norma potrebbe trovare esplicitazione anche in questa ipotesi.

Propendendo dunque per un’interpretazione sistematica dell’art. 47 c. 1 del TUIR, anche le restituzioni di capitale ai soci e la restituzione degli apporti “in conto capitale” dovrebbero essere considerate una distribuzione di dividendi in presenza di riserve di utili disponibili per la distribuzione.

(1) Più avanti sarà trattato il tema, per la verità non ancora definitivamente chiarito, del- la presunzione, ai fini fiscali (in caso di distribuzione delle riserve), che le prime a poter essere distribuite siano quelle tassabili.

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Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF Magazine di aprile 2022. Di Paolo Bertoli Direttore Responsabile di ANDAF Magazine