«Cosa sarà?» scriveva Lucio Dalla a proposito del futuro. Una domanda particolarmente attuale nel nostro tempo.

L’impatto di ciò che sta succedendo negli ultimi anni a livello globale, dal dopoguerra, è senza precedenti. Tutto è accaduto all’improvviso, e non eravamo assolutamente preparati: con poche strategie, senza una visione dei possibili scenari, senza un piano B.

Due esempi tra tutti: l’abbraccio mortale della Russia verso alcuni Paesi europei, tra cui la Germania e l’Italia, attuato tramite la fornitura di gas e petrolio; oppure la capacità di trasformare le materie prime, attività che con il miraggio di costi di produzione bassi e salari indecenti, gran parte delle nazioni europee hanno – per una parte rilevante – abbandonato in favore della Cina, con l’aggravante che proprio in Cina e in Russia sono disponibili molte materie prime importanti.

E ancora: la pandemia e la guerra in Ucraina, che hanno avviato un circolo vizioso portandoci vicini a una crisi economica globale; la fragilità delle valute, Usa in primis dopo l’abbandono del gold exchange standard; lo spostamento degli equilibri del potere economico che vede la Cina quale vera potenza nei prossimi anni; l’inflazione che sta colpendo tutti i Paesi, vicina ai due digit in UK, la più alta degli ultimi 40 anni negli Usa con un aumento dei prezzi al consumo che va oltre il 7%, mentre in Turchia supera l’8%; il rublo che si rafforza sensibilmente rispetto all’euro.

Alcuni fenomeni possono essere spiegati, ma per il resto, dobbiamo prendere atto che stiamo navigando a vista. Sul rafforzamento del rublo, ad esempio, pesano alcuni fattori come i controlli sui capitali da parte della banca centrale di Mosca, il crollo delle importazioni a causa delle sanzioni e l’ aumento dei prezzi dell’ energia. Inoltre, il valore del rublo è sostenuto dalla conversione obbligatoria imposta sugli introiti derivati dalle esportazioni, per cui tutte le aziende russe che commerciano con l’estero sono costrette a convertire nella valuta nazionale i pagamenti ricevuti in valuta estera.

Ma con le nuove sanzioni che arriveranno cosa accadrà?

La Russia, su cui peseranno le decisioni insensate del suo leader, cercherà un appoggio a oriente? E la Cina indosserà le vesti di mantide religiosa come ha già fatto in Africa?

Il Centro Studi di Confindustria lancia un allarme assai serio tramite Matteo Pignatti, Responsabile dell’area Scenari Geoeconomici, che scrive: «Le prospettive della crescita mondiale sono insoddisfacenti. Le previsioni di aumento del PIL globale sono state continuamente riviste al ribasso negli ultimi quattro anni: da un +4,8% medio annuo atteso nel 2011 per i cinque anni successivi a un +3,9% previsto nel 2015 (FMI). Per quest’ anno, nell’ arco di mesi, le stime sono state abbassate dal 4,0% al 3,3%. Appare via via più evidente che gli effetti della crisi economica sugli investimenti, del rallentamento demografico e del minore impatto stimato delle nuove tecnologie sulla produttività sono molto persistenti. Ciò abbassa il sentiero di crescita dell’output potenziale, verso cui il PIL tende nel lungo periodo. Tanto che alcuni economisti parlano di “stagnazione secolare”».

Cosa è possibile fare, quindi, in una situazione così complessa?

La palla è nelle mani dei nostri Governi. Se – e non vi sono molti dubbi – i prossimi anni saranno comunque durissimi, saranno determinanti le scelte strategiche a medio termine dei Paesi avanzati. Occorre, come affermano tanti economisti, un nuovo piano Marshall (in lingua originale European Recovery Program), che i nostri ormai vecchi genitori ricordano come il piano politico-economico Usa per poter avviare la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Tutto, quindi, dipenderà dal mix di interventi pubblici che verranno adottati per rilanciare la crescita e innalzare il tasso di sviluppo potenziale dell’economia, per sostenere la domanda – soprattutto di investimenti strutturali – e per stimolare l’attività di Ricerca e Sviluppo.

In Italia, forse bisogna pensare di adottare una vera politica industriale coerente con la cultura e la sapienza da noi dimostrate in passato, ritrovando il nostro ruolo centrale nel comparto manifatturiero.

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Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF Magazine di luglio 2022.

Di Paolo Bertoli Direttore Responsabile di ANDAF Magazine, Membro del Comitato Tecnico ANDAF Corporate Governance & Compliance