Di Paolo Bertoli

(Dal Sole 24 Ore, dal Quotidiano IPSOA e dal web nelle ultime settimane)

Il Decreto sulla certezza del Diritto, approvato ad aprile scorso, ha introdotto il regime di adempimento collaborativo ed è destinato a modificare in maniera sensibile il rapporto Fisco-Impresa, puntando su una maggiore trasparenza delle imprese a fronte di un quadro normativo più certo da parte delle Istituzioni. In sostanza, il Consiglio dei Ministri ha messo in atto forme di “cooperazione rafforzata” con i contribuenti di maggiori dimensioni, che si doteranno di un “sistema aziendale strutturato di gestione e di controllo del rischio fiscale” (Tax Control Framework). L’obiettivo è rafforzare la centralità degli strumenti di corporate governance e includere l’area fiscale all’interno dei sistemi di risk management. La Legge promuove quindi una verifica del grado di maturità del proprio sistema di gestione e controllo del rischio fiscale. Questo per le società comporterà l’analisi della propria situazione di rischio, probabilmente con notevole sforzo organizzativo, e l’individuazione di una funzione che costantemente si occupi della gestione e del controllo del rischio fiscale.
Per le aziende che hanno già adottato procedure e sistemi in grado di presidiare il rischio di compliance, e per i quali la Legge ha individuato nel compliance officer il soggetto responsabile, sorgono problemi di ordine pratico. Infatti, la capacità di misurare il rischio fiscale richiede competenze specifiche che vanno ad aggiungersi alle tante che un compliance officer deve già possedere. È certo, comunque, che il soggetto responsabile dovrà dialogare costantemente con le altre funzioni di controllo e che le aziende dovranno disciplinare i criteri e le modalità di valutazione dell’idoneità dei sistemi a presidio del rischio fiscale. In tal senso non è da escludersi la collaborazione con i soggetti incaricati del controllo contabile, ovvero del collegio sindacale o della società di revisione.
Il nuovo schema di relazioni tra contribuente e Fisco, che farà leva sull’instaurazione di un regime continuo di scambio di informazioni improntato alla massima trasparenza, avrà degli impatti su entrambe le parti coinvolte. Da un lato le imprese dovranno ripensare il proprio sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale ai fini di un’efficace autovalutazione preventiva; dall’altro ne risentiranno anche gli stessi moduli di intervento attraverso cui il Fisco esercita la funzione ispettiva in materia fiscale.
Nell’ottica della trasparenza, ad agosto l’OCSE ha pubblicato tre nuovi rapporti con l’obiettivo di favorire l’attuazione delle misure per il Global Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information, che oggi interessa più di novanta Paesi. Il primo scambio di informazioni finanziarie dovrebbe iniziare dal 2017, quindi l’OCSE suggerisce agli Stati di valutare tempestivamente l’introduzione di programmi di compliance volontaria, che permettano ai contribuenti di dichiarare quanto detenuto all’estero e illegittimamente sottratto a imposizione nello Stato di residenza. Sono oggetto di scambio automatico tra Stati le informazioni finanziarie, trasmesse dalle Istituzioni finanziarie alle rispettive Autorità competenti, che concernono i conti detenuti da persone fisiche e giuridiche, inclusi i trust e le fondazioni. Sempre nel mese di agosto, il Consiglio dei Ministri ha approvato quattro Disegni di Legge che rispettivamente ratificano e rendono esecutivi: il Protocollo che modifica la Convenzione Italia-Svizzera per evitare le doppie imposizioni, l’Accordo Italia-Principato di Monaco sullo scambio di informazioni in materia fiscale, la Convenzione Italia-Santa Sede in materia fiscale e l’Accordo Italia-Principato del Liechtenstein sullo scambio di informazioni in materia fiscale.
Nel primo caso la Repubblica italiana e la Confederazione elvetica hanno stabilito che l’Accordo prevede solo lo scambio di informazioni su richiesta, mentre lo scambio automatico e quello spontaneo dovranno essere oggetto di strumenti giuridici separati. Prima di effettuare la richiesta, lo Stato richiedente deve sfruttare le fonti di informazione previste dalla propria normativa interna. I dati richiesti, inoltre, devono essere rilevanti. I due Paesi hanno anche sottoscritto una road map che delinea le principali azioni intraprese, o da intraprendere, per la normalizzazione dei rapporti tra i due Stati. Tra le altre cose, essa stabilisce l’estensione dei benefici convenzionali ai fondi pensione con contribuzione obbligatoria, l’aggiornamento delle clausole anti abuso, l’introduzione di una clausola arbitrale e la riforma del regime fiscale dei lavoratori frontalieri.
L’Accordo tra Italia e il Principato di Monaco, come quello con il Principato del Liechtenstein, è stato strutturato in tre documenti distinti: l’Accordo per lo scambio di informazioni in materia fiscale “vero e proprio” che traccia obiettivi, modalità e limiti dello scambio di informazioni; un Protocollo all’Accordo che delinea i poteri delle Amministrazioni nella fase transitoria, che si concluderà all’atto dell’adozione di procedure di scambio automatico di dati; una Joint Declaration nella quale l’Italia e la rispettiva controparte illustrano gli obiettivi a medio termine per la normalizzazione dei rapporti, in modo analogo a quanto fatto con la road map Italia-Svizzera.
Gli Accordi sono basati sul modello OCSE di Tax Information Exchange Agreement, che consente lo scambio di informazioni su richiesta relativamente a tutte le imposte. Pertanto, ai sensi dell’art. 5 degli Accordi, lo Stato a cui sono richieste le informazioni non può rifiutarsi di fornire allo Stato richiedente la collaborazione amministrativa per mancanza di interesse ai propri fini fiscali, né opporre il segreto bancario.
La Convenzione Italia-Vaticano in materia fiscale, infine, ha per oggetto lo scambio di informazioni in tale campo. L’Accordo recepisce lo standard internazionale sullo scambio di informazioni (e riguarderà unicamente i periodi d’imposta a partire dal 1° gennaio 2009) regolando di conseguenza la cooperazione amministrativa in materia fiscale tra le Autorità competenti dei due Stati; esso consente inoltre il pieno adempimento degli obblighi fiscali, relativi alle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono attività finanziaria nella Santa Sede, da parte di persone fisiche e giuridiche fiscalmente residenti in Italia. Gli stessi soggetti potranno accedere a una procedura di regolarizzazione delle stesse attività. Da ultimo, la Convenzione attua quanto previsto dal Trattato del Laterano relativamente all’esenzione dalle imposte per gli immobili della Santa Sede indicati nello stesso.
In questa linea si colloca anche la c.d. Collaborazione Volontaria, un’ulteriore possibilità offerta ai contribuenti italiani giunta ormai alle ultime battute. La scadenza per “collaborare” è alla fine di settembre, ma da più parti aleggia la concreta possibilità di una proroga. Il principale ostacolo è infatti dato dai tempi lunghi richiesti dalle banche estere (in particolare svizzere) per fornire la documentazione necessaria.

Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Ottobre 2015