Di Paolo Bertoli 
(Dal Sole 24 Ore e dal Web)

 

Nuove norme per i licenziamenti individuali e collettivi, e nuova disciplina sul contratto a tutele crescenti. Queste le principali novità della riforma del lavoro del Governo Renzi: il Jobs Acts. Tale revisione è intervenuta finalmente su uno degli aspetti più critici, che non solo condizionava le nostre imprese ma limitava fortemente l’interesse degli investitori esteri a operare in Italia. Con i primi decreti attuativi della Legge, varati definitivamente dal Consiglio dei Ministri, l’esecutivo ha scelto di cambiare le regole che un’azienda deve seguire quando vuole lasciare a casa uno o più dipendenti. Si tratta di una novità molto contestata dai sindacati che accusano il Governo di avere introdotto una totale deregulation nei rapporti di lavoro, e dalla Commissione Lavoro della Camera che aveva chiesto di rivedere tale decisione. Il provvedimento è valido solo per i nuovi contratti stipulati a partire dalla sua entrata in vigore, il che crea un doppio percorso tra vecchi e nuovi assunti. Rientrano nelle nuove regole anche coloro che successivamente all’entrata in vigore della norma in esame avranno l’opportunità di convertire i contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato.
Mentre i licenziamenti individuali sono regolati per lo più dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, con i decreti attuativi della riforma del lavoro anche i licenziamenti collettivi diventano un po’ più facili. Così, ogni lavoratore licenziato che farà causa all’azienda non avrà più diritto a essere reintegrato nell’organico, ma potrà ottenere un risarcimento in denaro (lo stesso previsto per i nuovi contratti a tutele crescenti nati con il Jobs Act) se il Giudice dichiarerà illegittimo l’esubero. In base alla nuova norma, il lavoratore licenziato potrà essere reintegrato soltanto nel caso in cui in giudizio venga dimostrato un comportamento discriminatorio dell’azienda nei suoi confronti, altrimenti avrà diritto al solo pagamento di un’indennità – non assoggettata a contribuzione previdenziale – di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio (in misura non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità).
È importante considerare che sarà il lavoratore a dover dimostrare in giudizio l’atteggiamento discriminatorio. Va inoltre notato che il Legislatore ha inserito nella norma alcune limitazioni all’agire del Giudice del lavoro per ridurre quei casi di libera interpretazione che nel passato hanno talvolta consentito il reintegro anche a soggetti non meritevoli di tale provvedimento.
Qualora si assenti anche solo per un giorno dal posto di lavoro o vìoli una semplice norma del regolamento interno aziendale, il lavoratore potrà quindi incorrere nel licenziamento immediato senza che il Giudice possa effettivamente valutare la proporzione tra il fatto commesso e la sanzione subita. Sebbene la sanzione sia evidentemente sproporzionata rispetto all’addebito, il Giudice non potrà infatti applicare il principio dell’equità e proporzione ma, accertata la violazione, potrà al massimo condannare il datore di lavoro al pagamento dell’indennità. Solo nel caso di un licenziamento per motivi disciplinari, per il quale si dimostri in giudizio che il fatto materiale addebitato non sussiste, il lavoratore avrà diritto al reintegro e a un risarcimento economico con un tetto massimo di dodici mensilità.
Va ricordato, però, che queste nuove regole si applicano soltanto ai contratti di lavoro che verranno stipulati e non a quelli attualmente già in essere. In tal modo, nell’ambito di uno stesso licenziamento collettivo dichiarato illegittimo, potrebbe accadere che i lavoratori di una medesima impresa vengano trattati dal Giudice con due pesi e due misure: alcuni potrebbero avere diritto al reintegro nel posto di lavoro e altri no. La nuova disciplina si applica esclusivamente a operai, impiegati e quadri; ne consegue che ai dirigenti continuerà a essere applicato l’art. 18 sul licenziamento discriminatorio o nullo anche per i contratti di lavoro stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo.
Con tutta probabilità questo provvedimento porterà a una sensibile riduzione di quei molti contratti atipici realizzati per conseguire illegittimi risparmi contributivi e per ridurre le corresponsioni economiche, non dovendo rispettare le regole del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, ovvero quei rapporti di lavoro para-subordinati non rispondenti alla sostanza del rapporto di lavoro. In particolare, per i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati entro il 31 dicembre 2015, ai datori di lavoro viene concesso l’esonero per trentasei mesi dal versamento dei complessivi contributi previdenziali, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL. L’assunzione deve inoltre riguardare lavoratori che nei sei mesi precedenti l’instaurazione del nuovo rapporto di lavoro non sono stati occupati a tempo indeterminato in un’altra azienda. Lo sgravio è totale, ma soltanto entro uno specifico massimale fissato a 8.060 euro annui, ovviamente da riproporzionare in relazione alla durata del rapporto di lavoro nell’arco temporale considerato.
Come accennato sono esclusi dall’esonero i contributi dovuti a INAIL, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del c.c., pari allo 0,20%, e ai Fondi di solidarietà pari allo 0,50%. L’esonero però non spetta ai datori di lavoro nel caso di assunzioni relative a lavoratori con i quali è già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge, mentre è ammessa la fruizione in caso di trasformazione di un contratto a termine. Sono esclusi dall’incentivo i contratti di lavoro domestico, intermittente e in apprendistato.
Fino a nuovo (auspicabile) provvedimento, tutto quanto descritto non si applicherà ai dipendenti pubblici, che continueranno a godere di tutele precluse ai lavoratori di aziende private.
Nei prossimi mesi sarà interessante verificare quale atteggiamento avranno imprese, lavoratori, sindacati e Giudici in relazione a questo importante cambio di rotta.

Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Aprile 2015