Di Paolo Bertoli 
(dal Web)

È indispensabile ridare al Paese – soprattutto a famiglie e imprese – la certezza dei diritti garantiti da processi veloci ed efficaci.
Anche l’Istat cala la scure sulla Giustizia italiana: lenta, inefficiente e costosa.
Nelle sue “Considerazioni finali”, riflettendo sulle ragio ni per cui da un decennio l’Italia ha smesso di crescere, il Governatore della Banca d’Italia ha detto due cose apparentemente non collegate. La prima è che «le imprese italiane sono in media il 40% più piccole di quelle degli altri Paesi nell’area dell’Euro […] e i passaggi da una classe dimensionale a quella superiore sono rari». La seconda affermazione riguarda la lentezza della Giustizia Civile: «La durata dei processi ordinari di primo grado supera i mille giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale».
In realtà queste due osservazioni sono intimamente collegate. La piccola impresa ha necessità per il suo sviluppo di risorse finanziarie esterne, siano queste il credito da parte di una banca o l’ingresso di nuovi soci nel capitale. Ma quale banca o nuovo socio, soprattutto se estero, è disposto a finanziare l’azienda assumendone i rischi in assenza di un sistema giudiziario sul quale è possibile fare affidamento?
Per una piccola o media impresa, o per un socio, avere una causa importante può rappresentare (ed è spesso così) il default. Ecco allora che vincono le grandi imprese: credito e capitali affluiscono a chi già ha una storia ed è conosciuto nel mercato.
Occorrerebbe aggiungere anche il tema delle garanzie, che il sistema bancario chiede alle imprese giovani e che ha di fatto trasformato in Italia tutte le società di capitali “a responsabilità limitata” in “a responsabilità illimitata”!
Torniamo al tema della Giustizia. Insomma, la lentezza e la scarsa affidabilità della Giustizia Civile sono tra le ragioni più importanti del “nanismo” delle aziende italiane. La Giustizia Civile in Italia non solo è lenta, ma i suoi tempi si stanno addirittura allungando. Negli Anni Ottanta una procedura fallimentare durava, in media, poco più di quattro anni. Ora ne dura più di nove (dati Istat). E così le aziende trovano sempre maggiori ostacoli alla crescita.
Che fare?
Scartiamo subito la risposta ovvia e sbagliata, quella che propone una maggiore spesa per la Giustizia. La Commissione europea sull’efficienza della Giustizia (un organo del Consiglio d’Europa) calcola che lo Stato italiano spende per questo settore 70 Euro per abitante (dati relativi al 2008). La stessa spesa in Francia è di 58 Euro pro capite. E questo non perché il Paese transalpino abbia molti meno giudici e cancellieri. I numeri sono simili: i giudici sono nove per centomila abitanti in Francia e dieci in Italia; i dipendenti dei tribunali con qualifica diversa da giudice sono quattro per ciascun giudice da noi, e tre da loro. Ciononostante, la lunghezza media di un procedimento civile in Francia è la metà. I giudici italiani sono addirittura pagati un po’ meglio: il loro stipendio base è superiore di circa il 20% al corrispondente stipendio francese.
Fortunatamente, per abbreviare la durata media delle cause civili esistono modi che non costano nulla al contribuente. In una serie di importanti lavori scientifici tre eminenti economisti (Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico) ci hanno spiegato come. Si tratta innanzitutto di riorganizzare il lavoro dei giudici. Invece di iniziare tante cause tutte insieme, e poi portarle avanti in parallelo, è meglio aprirne poche alla volta e finirle prima di aprirne di nuove.
Un esempio: supponiamo che due cause richiedano dieci giorni di lavoro l’una. Se un giudice lavora un giorno su una e un giorno sull’altra, entrambe finiranno dopo venti giorni (per la precisione una dopo diciannove e una dopo venti, con durata media di diciannove giorni e mezzo). Se invece si comincia una causa e si termina il lavoro in dieci giorni, e solo dopo si apre la seconda, la durata media sarà di quindici giorni perché la prima causa finirà in dieci giorni e la seconda in venti. È chiaro che vi sono altre considerazioni da tenere presente, come l’esistenza di tempi morti (il che spingerebbe ad aver più cause attive tutte insieme) e il fatto che concentrandosi su poche cause il giudice potrebbe essere più produttivo (il che spingerebbe nella direzione opposta).
Non è solo teoria, i tre economisti hanno esaminato l’esperienza delle Sezioni Lavoro dei Tribunali di Torino e Milano. Nel primo caso i tempi di risoluzione delle cause sono molto più veloci che nel secondo: i processi a Torino durano in media 174 giorni, contro 324 di Milano. Il motivo è proprio una diversa organizzazione del lavoro dei giudici. Ciò non accade esclusivamente al Nord. Un’esperienza simile, alla Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli, in pochi anni ha ridotto la durata media dei processi del 20%. A questo risultato ha contribuito una pratica banale: quando un giudice è assente, ad esempio per una gravidanza, anziché venire rimandati di un anno i suoi processi sono attribuiti agli altri giudici del Tribunale, incluso – se necessario – il Presidente.
L’auspicio è che analisi come questa possano essere utili a una nuova Commissione, da pochi giorni incaricata dal Guardasigilli Orlando e presieduta dal Presidente di Cassazione Giuseppe Maria Berruti.
Molte altre Commissioni, in passato, hanno lavorato su questo tema. Siamo tuttavia giunti al capolinea: se vogliamo ridare opportunità di sviluppo, in particolare alle piccole e medie imprese italiane e ai loro imprenditori, non è più procrastinabile un serio intervento per accelerare i tempi della Giustizia “lumaca” nel settore civile.

Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Luglio 2014