di Paolo Bertoli

Nella primavera del 2018 il nostro Presidente, Roberto Mannozzi, mi chiese di partecipare al Comitato chiamato a progettare il fil rouge del nostro 41° Congresso Nazionale ANDAF che si sarebbe tenuto qualche mese dopo a Milano, nell’innovativo Pavilion Unicredit.

La parte più difficile nel progettare un Congresso è riuscire a trovare un titolo che possa, in poche parole, esprimere l’essenza dei temi che si vogliono trattare, degli interventi e dei dibattiti che costituiranno l’anima dell’evento, e offrirne una preview, anche se niente di tutto ciò abbia ancora preso corpo e definizione restando al momento solo concepito nel mondo delle idee.

In quell’occasione, tuttavia, non fu difficile pensare al titolo. Volevo infatti trovare il modo di attrarre l’attenzione dei colleghi – CFO di grandi e piccole imprese – su come negli ultimi anni stava cambiando il nostro ruolo, legato sempre meno al reporting contabile e sempre più alla comprensione dei fenomeni e alle previsioni what if, per cogliere e interpretare il cambiamento estremamente veloce e inarrestabile che interessava il nostro mondo. Ero (e sono) infatti convinto che la professione di CFO, che ci abitua ad analizzare dati per trasformarli in informazioni utili a prendere decisioni aziendali, doveva evolvere attraverso l’acquisizione di nuove competenze. Se in un tempo non così lontano ci vedevamo con la matita sull’orecchio, o come dicono gli inglesi come dei bean counter1, la nuova sfida era di entrare a far parte a pieno titolo del team di direzione dell’impresa, spesso a fianco del CEO o dell’imprenditore.

Volevo quindi invitare relatori in grado di aiutarci a comprendere che l’evoluzione tecnologica è al tempo stesso causa di un sistema più complesso da gestire e strumento per semplificare tale complessità. Volevo ascoltare uno psicologo per analizzare e prevedere l’impatto del “nuovo” sulle persone, per riuscire a identificare i futuri percorsi di crescita delle competenze e l’evoluzione del rapporto di lavoro. Pensavo che sarebbe stato interessante indagare sull’evoluzione dell’ etica nel mondo dei big data e dell’ Intelligenza Artificiale, analizzare gli impatti sulla sostenibilità, comprendere le tendenze legate ai nuovi modelli organizzativi che si stavano affacciando, come lo smart working e il progressivo abbandono delle strutture piramidali, e inoltre immaginare l’impresa come “nodo” di una rete di relazioni mondiali, senza più confini fisici, dove le autostrade diventano flussi di bit.

Ma ciò non era sufficiente. La ricerca, in quel disegno che era ancora soltanto un progetto nella mia mente e in quella dei colleghi, doveva estendersi alle immense opportunità date dal cambiamento, e nello stesso tempo anche ai nuovi rischi che in un sistema sempre più globale diventavano più globali a loro volta. L’idea di fondo dell’evento era dunque lanciare un messaggio volto a sottolineare la necessità di mettersi all’opera nel più breve tempo possibile per anticipare i cambiamenti e fare in modo di essere pronti, di comprendere la tecnologia utilizzandola senza accettarla passivamente; l’esigenza di introdurre innovazione – di prodotti, di processi, di modelli di business – consapevoli che un intervento tardivo rappresentasse un rischio di vedere la propria impresa perdere in termini di competitività, costretta a subire le aziende più pronte che non avevano avuto paura di avviare iniziative e percorsi nuovi.

Ed ecco il titolo di quel Congresso, un fantastico evento a mio personale avviso, che grazie al contributo di relatori davvero eccellenti mi ha dato molto e mi ha fatto riflettere:

Più opportunità o più rischi per l’impresa del futuro?

COSTRUIAMO OGGI L’IMPRESA DI DOMANI

EXPECTED THE UNEXPECTED

Ebbene, pur avendo in quell’occasione posto enfasi alla necessità di prepararci anche all’inaspettato, e quindi di prevederlo, mai avrei potuto immaginare ciò che sta accadendo in questi giorni. Sembra di essere piombati all’improvviso in un film di fantascienza. È fresca la notizia della chiusura totale di gran parte delle attività nel nostro Paese. Una serrata che non trova precedenti nella nostra storia.
È quasi surreale vedere le nostre città completamente vuote e con i negozi chiusi, i nostri bambini che non capiscono ciò che sta accadendo, le persone che giustamente manifestano il loro timore.
Nel corso di una intervista, un’accreditata virologa ha spiegato come in realtà questi virus – che evolvono e mutano continuamente – non siano una novità, e ha voluto dare un segnale di attenzione agli uomini di Governo per sensibilizzarli su come scelte errate nella Sanità, nelle Università e nel mondo della ricerca possano rappresentare rischi davvero importanti per tutta la comunità. Non è certamente il caso in questo momento di aprire polemiche, ma piuttosto di trasformare questa drammatica situazione in opportunità per ripensare le nostre scelte e non avere paura di cambiarle.

Nell’impresa che dirigo ho avuto la fortuna di lasciare spazio libero a mio figlio, che ha voluto apportare molte novità grazie anche all’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici. Così, seguendo alla lettera le indicazioni degli esperti virologi, sono stato in grado di chiedere ai miei collaboratori di non recarsi più in ufficio ma di lavorare da casa. I colleghi hanno quindi trasferito tra le mura domestiche i loro PC portatili e i loro telefoni.

I dati in cloud, le applicazioni accessibili in modo remoto, i telefoni con tecnologia Voip (che ha consentito di mantenere a casa il loro numero di interno) e il semplice accesso ai sistemi di videoconferenza tramite PC, hanno reso possibile continuare a lavorare senza disagi anche se in un modo completamente diverso. Ecco un esempio di come la tecnologia abbia aiutato le imprese più pronte.

Sono certo che l’esperienza che stiamo vivendo potrà portare a una sensibile accelerazione del c.d. lavoro agile, con tutte le conseguenze positive che ciò comporterà: meno inquinamento, risparmio di tempo (che ricordiamo è la risorsa più preziosa che possiamo spendere), maggiore libertà e autonomia per i lavoratori.

Quando questa calamità che ci ha duramente colpito finirà, e sono certo che ciò accadrà presto, avremo imparato qualcosa. Saremo diventati forse più saggi, più attenti all’ambiente e alla salute.

Non voglio minimizzare gli effetti di questo “cigno nero” e gli impatti notevolmente rilevanti per la nostra salute e per il nostro sistema economico2, che saranno inevitabili, ma voglio semplicemente dire che quanto ci sta accadendo determinerà una maggiore attenzione ai possibili effetti delle scelte dei Governi, dei nostri comportamenti e delle nostre azioni personali e sociali.

Il fenomeno della globalizzazione ha avuto, anche con riferimento al Coronavirus, un “impatto esponenziale”, così come è accaduto e continuerà ad accadere anche con l’evoluzione tecnologica. Un facile esempio è l’impatto della “rete” e del mondo internet nelle nostre abitudini di vita e nelle nostre imprese.

Questa esperienza ci renderà più attenti nel cercare di comprendere quali cambiamenti potranno essere determinati da questi eventi inaspettati, e come queste nuove tecnologie cambieranno il nostro mondo e le nostre aziende nei prossimi venti o trent’anni.

Quali grandi transizioni per il business e per l’umanità dobbiamo immaginarci? Quali saranno gli effetti dell’Intelligenza Artificiale in sostituzione/integrazione di molte professioni, delle automobili a guida autonoma, dei sistemi di immagazzinamento di energia sempre più efficienti, delle sempre maggiori potenze di calcolo, dei sistemi di mappatura genetica istantanea a basso costo3? Di certo, in generale, dovremo essere più attenti a considerare l’importanza dell’attività di ricerca, formazione e divulgazione, la messa a punto di modelli flessibili e scalabili – in alto e in basso – per creare un ambiente idoneo alle generazioni successive.

Non v’è dubbio che la pandemia causata dal SARS-CoV-2 o COVID-19 sia un “cigno nero”: non era prevedibile in generale, e non lo era nemmeno nello specifico con questa forte ripercussione in Italia quando la malattia era stata rilevata dalla Cina appena lo scorso gennaio. Non v’è dubbio che il Coronavirus stia generando un impatto rilevantissimo e a 360 gradi sul nostro sistema di riferimento (sanitario, politico, imprenditoriale e familiare).

Pur non essendo abituati a ragionare in termini matematici o statistici sappiamo tutti che il dato è in crescita e continuerà a crescere, ma come per ogni epidemia o pandemia sappiamo anche che sarà raggiunto un picco cui seguirà una progressiva riduzione dei contagi, come per l’appunto sta già accadendo in Cina.

Questa situazione, dobbiamo purtroppo ammetterlo, ci ha colti abbastanza impreparati, con eventi e situazioni che non avevamo pianificato di gestire: scuole chiuse, negozi chiusi, la nostra nazione in quarantena, interi settori industriali chiusi per ordinanza e altri aperti con regole nuove, restrizioni dei nostri comportamenti di movimento, una enorme pressione sul nostro sistema sanitario chiamato a svolgere con medici e infermieri straordinari un durissimo lavoro fisico e mentale. A tutto il personale medico, e a tutti coloro che in questo momento stanno operando per mantenere il nostro Paese vivo, va la nostra immensa gratitudine. Tutto quanto sta accadendo sarà un prezioso insegnamento: dovremo tener in maggior conto, ad esempio, le esigenze della classe medica e dei nostri ospedali e attrezzarci meglio per il futuro, anche attraverso iniziative che possano favorire la ricerca.

Ma noi siamo CFO, siamo in trincea, e al termine di questa situazione anche noi dovremo rimboccarci le maniche e raccogliere i cocci nelle nostre imprese. Dovremo imporci di mantenere fermo il timone e identificare le necessarie azioni per salvare con le nostre aziende i posti di lavoro. Quanto sta accadendo potrà diventare una grande opportunità. Le nostre competenze unite alle nuove tecnologie ci aiuteranno a reagire. Sapremo meglio investire sul futuro e sulla ricerca delle competenze, su un modello che darà maggiore autonomia ai collaboratori; sapremo sperimentare e innovare anche attraverso la contaminazione non di virus ma di esperienze, in modo continuo.

Potremo rafforzare i nostri presidi rispetto ai rischi e avviare progetti che normalmente saremmo stati più lenti e cauti a sviluppare, e che ora siamo pronti ad affrontare, saremo in grado di costruire imprese più agili, team di persone capaci di affrontare i cambiamenti anche più repentini, per offrire ai nostri investitori e ai nostri clienti le migliori soluzioni. Tutto questo non sarà senza rischi e ne dobbiamo essere consapevoli, ma dobbiamo procedere senza dubbi e senza tentennamenti con la lucidità di chi sperimenta, testa e rilascia molto velocemente, perché sa che stare fermi davanti ai “cigni neri” non può che portare a un disastro annunciato.

Per concludere, l’impossibilità di pianificare e calcolare con metodi razionali e a priori l’impatto con un “cigno nero” può rappresentare un evento molto minaccioso, ma in una fase (breve) della nostra vita in cui assisteremo inevitabilmente ad altri “cigni neri” questa è imprenditorialmente un’ opportunità enorme; sì, perché l’ epidemia finirà e in un futuro prossimo saremo noi, con il nostro impegno, la nostra dedizione e le nostre capacità, a dover fare la nostra parte per ciò che vogliamo e possiamo diventare come professionisti e come imprese.

E mutuando il titolo dal Congresso ANDAF del 2018, potremmo declinare il nostro impegno con uno slogan che recita: “Costruiamo oggi il mondo di domani, handle the unexpected”.

(1) Dall’Oxford English Dictionary: “a person, typically an accountant or bureaucrat, perceived as placing excessive emphasis on controlling expenditure and budgets”.
(2) Nassim N. Taleb “The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable” del 2007. (3) Clayton Christensen “The Innovator’s Dilemma: When New Technologies Cause Great Firms to Fail” del 1997.

Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF Magazine di aprile 2020