Di Paolo Bertoli 

Il passaggio da un sistema di garanzie istituzionali ad un sistema di garanzie personali.

Molti anni fa la nostra Amministrazione Finanziaria ebbe l’idea di delegare parte dei suoi compiti alle imprese. Nacque così il “sostituto di imposta”, ossia un contribuente-impresa al quale è attribuito il ruolo di esattore delle imposte per conto dello Stato. La tendenza, da parte dello Stato, a delegare a terzi attività che istituzionalmente dovrebbero essere proprie non è tuttavia terminata. Negli anni successivi sono stati molti gli adempimenti e le attività trasferite a carico del sistema delle professioni, delle imprese e dei loro manager. L’approccio di trasferire a terzi propri compiti istituzionali, se da un lato risolve alcuni problemi di efficienza dello Stato, comporta tuttavia una progressiva deresponsabilizzazione degli uffici pubblici. Nell’ambito delle attività di vigilanza sulle imprese si rileva come lo Stato non sia ancora in grado di esercitare i controlli dovuti. Le stesse (numerose) autorità di vigilanza, spesso carenti delle professionalità e degli organici necessari per poter adempiere ai compiti loro attribuiti, si ritrovano a svolgere attività meramente burocratiche – come seguire l’evoluzione normativa ed interpretare le norme – piuttosto che esercitare il loro ruolo di sorveglianza sul campo. È proprio la carenza nelle attività di vigilanza che a sua volta ha determinato la necessità di delegare molti controlli alle imprese stesse. E’ il caso della legge 626 del 1994 in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, del decreto legislativo 231 del 2001 in tema di responsabilità amministrativa degli Enti, del decreto legislativo 196 del 2003 in tema di protezione dei dati personali, e di alcune previsioni della L. 262 del 2005 in tema di tutela del risparmio.
Il legislatore, inoltre, pressato anche da una grave crisi dell’etica che ha visto negli ultimi tempi crimini finanziari di inimmaginabile gravità, nell’assegnare nuove responsabilità alle imprese ed ai loro organi amministrativi e di controllo, ha altresì individuato responsabilità personali per i loro manager. L’impianto normativo risultante è quanto mai confuso. La moltiplicazione dei soggetti responsabili nelle imprese, che vede tutti responsabili di tutto (organo amministrativo, organo amministrativo delegato, organo di controllo, comitato per il controllo interno, preposto al controllo interno, organismo di vigilanza, direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari), spesso con compiti non chiari e con molte sovrapposizioni, non contribuisce certo alla soluzione dei problemi.Un recente esempio, che riguarda la figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, è stato evidenziato nel recepimento della Direttiva 2004/109/CE del Parlamento Europeo (c.d. direttiva “Transparency”) che ha integrato le previsioni della L. 262. Per effetto di tali normative al dirigente preposto è richiesta un’ attestazione formale (i) sull’adeguatezza ed effettiva applicazione delle procedure amministrative, (ii) sulla corretta osservanza dei principi contabili applicabili ai fini della redazione del bilancio, (iii) sulla corrispondenza dei documenti alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, (iv) sull’idoneità dei documenti a fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’emittente e dell’insieme delle imprese incluse nel consolidamento. L’ultima novità riguarda (v) l’attestazione che la relazione sulla gestione comprenda – per il bilancio d’esercizio e per quello consolidato – un’analisi attendibile dell’andamento e del risultato della gestione nonché della situazione dell’emittente e dell’insieme delle imprese incluse nel consolidamento, unitamente alla descrizione dei principali rischi e incertezze cui sono esposti.
Unica attenuante concessa dalla Direttiva è che questa impegnativa attestazione dei dirigenti preposti deve essere resa “a quanto loro consta”. In altre parole, il legislatore europeo ha riconosciuto che il dirigente preposto può svolgere diligentemente i suoi compiti solo ove siano messe a sua disposizione tutte le informazioni necessarie. Questa limitazione è importante proprio per l’integrazione voluta dalla“Transparency” di attestare anche la correttezza della relazione sulla gestione. È evidente infatti che tale attestazione, non essendo il dirigente preposto necessariamente un amministratore, potrà essere resa solo sulle materie pertinenti allo stesso e sulle informazioni a lui rese note. Ebbene, in fase di recepimento della direttiva nel nostro TUF, la previsione “a quanto loro consta”, pur se espressamente prevista dalla normativa comunitaria, è stata volutamente omessa poiché ritenuta non necessaria. Questa decisione, assolutamente non condivisibile, riporta alla questione iniziale. Lo Stato preferisce trasferire ad altri le proprie responsabilità, comunque sia!
Vorrei concludere con tre riflessioni. Occorre innanzi tutto che lo Stato, anche attraverso le Istituzioni di vigilanza preposte, mantenga – rendendolo più efficiente – il suo ruolo istituzionale di controllo sui mercati e sulle imprese; in secondo luogo è indispensabile, per non penalizzare le nostre società, una maggiore armonizzazione delle norme che permetta di evitare sovrapposizioni di competenze; infine è opportuno che il legislatore, nell’individuare responsabilità personali, sia però consapevole del fatto che la responsabilità deve coerentemente offrire al soggetto interessato la concreta possibilità di conoscere e di agire. In difetto, non solo non si otterrà alcuno dei benefici ricercati dallo stesso provvedimento normativo ma, viceversa, si attribuirà una ingiusta responsabilità.

Editoriale pubblicato sulla rivista ANDAF di Gennaio 2008