Di Paolo Bertoli 
(dal Web e dagli organi di stampa)

Amministratore e Liquidatore di una Srl bresciana rischiano una condanna per bancarotta preferenziale, per aver pagato le banche penalizzando Equitalia e dipendenti. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 48802 del 5 dicembre 2013, che ha accolto il ricorso presentato dalla Procura di Brescia.
Il GIP del Tribunale di Brescia aveva dichiarato il non luogo a procedere ritenendo che, pur non essendo stato rispettato il criterio di proporzionalità tra i vari creditori, la condotta degli agenti non era mirata a favorirne alcuni ma solo a tentare di proseguire nell’attività d’impresa.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Brescia è ricorso per Cassazione, sostenendo la violazione dell’art. 216, terzo comma, della Legge Fallimentare (Bancarotta fraudolenta), perché il Giudice avrebbe esaminato in modo superficiale le ragioni che hanno indotto gli imputati a ripianare le passività sociali durante la fase di liquidazione, non sussistendo la possibilità di una ripresa finanziaria della società. Accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha ribadito che la bancarotta preferenziale richiede: sul piano oggettivo la violazione della par conditio creditorum nella procedura fallimentare, sul piano soggettivo la ricorrenza di quella forma peculiare di dolo costituita dalla volontà di recare un vantaggio al creditore – o ai creditori – soddisfatti con l’accettazione dell’eventualità di un danno per gli altri, finalità che deve costituire primario interesse perseguito dal debitore. La conseguenza è che la scelta di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è del tutto incompatibile con il delitto.
Nel caso in analisi, dai dati indicati nella sentenza impugnata, emergeva che i pagamenti – in gran parte avvenuti durante la fase liquidatoria – erano stati indirizzati non a colmare passività assistite da diritti di prelazione (ad esempio debiti nei confronti dei dipendenti) ma a sanare essenzialmente debiti nei confronti delle banche. Si evince, quindi, una reale volontà di preferire alcuni creditori a danno degli altri, mentre non è possibile cogliere negli atti processuali alcuna ragionevole prospettiva di ripresa economica della società. La sentenza è stata annullata con rinvio per un nuovo esame.

Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Gennaio 2014