Di Paolo Bertoli
(dal Sole 24 Ore)
La manovra “salva Italia” attuata dal Governo Monti prevede tra le misure per lo sviluppo una forte spinta alla ricapitalizzazione delle imprese con l’inserimento della cosiddetta ACE (Aiuto alla Crescita Economica). Una misura che ha l’obiettivo di ridurre lo squilibrio del trattamento tra le aziende che si finanziano con debito e quelle che ricorrono a capitale proprio (o che reinvestono nell’impresa gli utili a riserva) in favore delle seconde: a esse viene riconosciuto un rendimento virtuale del 3% sull’incremento di capitale, deducibile ai fini fiscali per i primi tre anni di applicazione.
Favorendo gli investimenti, il Governo cerca di compensare la sottocapitalizzazione della realtà produttiva italiana rispetto a quella europea. Nel nostro Paese, infatti, gli imprenditori – secondo le elaborazioni del Sole 24 Ore su dati dell’Associazione italiana private banking (dati relativi a giugno 2011) – possiedono patrimoni finanziari “gestiti” stimati intorno ai 170 miliardi di euro, senza considerare quelli immobiliari e finanziari non gestiti (capitali che non vengono investiti nel tessuto produttivo italiano).
Pur considerando necessaria una diversificazione internazionale del portafogli azionario degli investitori italiani, il divario tra la ricchezza privata italiana e la scarsa capitalizzazione delle nostre imprese è particolarmente stridente, così come è impossibile immaginare una efficace innovazione e rivitalizzazione del tessuto economico nazionale senza il contributo di tali risorse.
L’assenza, fino a oggi, di un solido quadro istituzionale di riferimento e di una politica volta al rilancio economico del Paese sono le cause di tanta sfiducia dei mercati, che va contrastata con norme come l’ACE ma anche con la creazione di nuovi strumenti finanziari che favoriscano questa tendenza positiva e che premino le migliori attività imprenditoriali e innovative del Paese.
Considerata la crescente selezione da parte delle banche nell’erogazione di finanziamenti, questi incentivi non possono che giovare in particolare alle nostre PMI, agevolando appunto l’immissione di liquidità in questo momento di crisi. «Con il rafforzamento patrimoniale –sostiene Roberto Magliulo, presidente della Piccola Industria di Salerno– i “piccoli” possono presentarsi alle banche con maggiori credenziali e ottenere un rating migliore. Inoltre, il premio fiscale permette di liberare risorse per gli investimenti in ricerca o per fare gioco di squadra, due carte indispensabili per poter far fronte alla concorrenza internazionale».
Insomma, le imprese non possono perdere questa opportunità. La misura trova concordi politici ed esperti, anche se non mancano alcune criticità, come evidenziato da Anna Gervasoni, direttore generale dell’Associazione italiana del private equity e del venture capital, che ritiene necessario il provvedimento ma disapprova l’assenza di incentivi all’apertura del capitale delle imprese.
Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Gennaio 2012