Di Paolo Bertoli 

Non v’è dubbio: sarà un secondo semestre durissimo per tutti. Gli effetti nell’economia reale sono ben tangibili. Posti di villeggiatura vuoti, portafogli ordini inesistenti, prezzi in discesa, magazzini pieni. In questa situazione il nostro Paese rischia molto. Le istituzioni europee non brillano per iniziative e non offrono quel senso di protezione che invece leggiamo negli USA. L’incapacità di definire una regia europea alimenta anche il rischio “protezionismo” – tentazione ahimè presente in ogni Stato – e questo fa presagire che, a seguito di interventi “pesanti” su alcune economie, si realizzino differenziali di competitività come potrebbe verificarsi, ad esempio, nel comparto auto europeo sia al suo interno sia verso quello USA. Il rischio è serio, soprattutto per il nostro Paese.
La “favola” di un sistema bancario che in Italia ha tenuto non mi sembra un argomento utile per la discussione. Dire che le banche stanno bene non tranquillizza per nulla. In altre parole, dobbiamo pensare alla salute della gallina e non alle uova che qualcuno ha messo da parte.
Se è certamente vero che il problema italiano è all’interno di un problema europeo – che vuol dire regole, una politica comune, in sintonia, che tenga conto delle diverse realtà – non dobbiamo per questo avere esitazioni sugli interventi da porre in essere, ovvero accettare senza reagire questa situazione.
Dobbiamo soprattutto pensare alla nostra industria, a come farla ripartire, a identificare gli interventi opportuni, tempificarli tenendo in considerazione che per molti di essi (vedi, ad esempio, le necessarie iniziative di sviluppo delle infrastrutture) i segni positivi sull’occupazione e sull’economia saranno visibili solo a distanza di uno-due anni e quindi molto, molto tardi.
In queste settimane non ho sentito, da nessuna parte, proposte in sede governativa in merito ad una iniziativa semplice, che potrebbe ridare immediato ossigeno a molte imprese e dare un contributo positivo alla crisi: lo Stato paghi subito i suoi debiti, e così anche gli enti locali. Sono tantissime le imprese sull’orlo del fallimento che non sono più assistite dal sistema bancario, e che hanno crediti scaduti nei confronti della pubblica amministrazione da sei, nove, dodici mesi e anche più.
Immettere liquidità in quel circuito eviterebbe anche ulteriori e pericolosi effetti a catena, sia nelle imprese fornitrici sia nell’occupazione, e forse aiuterebbe anche a contrastare quel fenomeno di de-industrializzazione che è ormai ben presente nel nostro Paese.
Inoltre, occorre intervenire in modo energico – con coraggio, come mai prima d’ora – sulle politiche fiscali affinché vadano nella direzione di facilitare l’industria e non contrastarla, ed ancor di più intervenire sull’apparato dello Stato per evitare che ogni iniziativa economica debba scontrarsi con le solite difficoltà legate alla burocrazia. Ricordando, al riguardo, che uno Stato efficiente è il primo rimedio contro la corruzione.

Editoriale pubblicato sulla rivista ANDAF di Gennaio 2009